Archive for agosto 2008

Paragoni

agosto 29, 2008

1

L’aereo atterra a Milano. Silenzio a bordo, come da prassi.

L’aereo atterra a Reggio Calabria. Una nutrita folla di cialtroni applaude, come da prassi.

2

L’aeroporto di Linate a Milano, non molto grande, asettico, pulito come un paio di mutande appena uscito dalla lavatrice.

L’aeroporto dello Stretto a Reggio Calabria, minuscolo, insignificante, numerose carte per terra, come se fossimo in una qualsiasi strada della città, completamente ricoperta dagli scarti dei suoi valorosi cittadini.

3

Come tutti voi sapete a Milano ci sono i Navigli. Definizione dei Navigli: fiumiciattoli di merda (nel vero senso della parola) e liquami vari. Paludi nel cuore di Milano, insomma. Sulle due sponde di queste fiumare di sterco decine – ma che dico? – centinaia di locali di tutti i tipi, per tutte le età, per tutte le tasche. Tutti stracolmi di gente.

Come tutti voi sapete a Reggio Calabria c’è il mare, c’è la via Marina. Sono serviti 30 anni perchè qualcuno capisse che aprire qualche locale di merda (il materiale umano e non solo è quello) forse poteva essere una buona idea…

Ah, per inciso, sono tornato!

Voyeur

agosto 26, 2008

Nei prossimi giorni potrei sembrare assente, ma ci sarò…

Vi osserverò dall’alto, senza essere visto. Farò il guardone, insomma.

Per cui fate i bravi.

Paura, eh?

agosto 25, 2008

Questa è una storia.

Una storia brutta. Di quelle che fanno paura.

Faceva caldo quella sera quando il giovane Claudio Cordova si trovava, a Reggio Calabria, nei pressi di piazza Duomo. Era agosto, c’era tanta gente, ma qualcosa stava per accadere.

Il giovane Cordova non sapeva a cosa andava incontro, non sapeva che quella sera avrebbe conosciuto un uomo.

Non poteva saperlo.

C’era una ragazza: era alta ed era bionda. Aveva una macchina fotografica. L’uomo, invece, aveva uno sguardo strano, portava un pizzetto inquietante e indossava una polo nera.

Il giovane Cordova non si accorse della sua presenza.

Fu lì che, senza saperlo, con due semplici fotografie, la vita del giovane Cordova cambiò per sempre.

Sono un cazzaro.

La ricerca di nuove armi

agosto 23, 2008

Avevo promesso di occuparmi della vicenda delle finte confische con più serietà. Ecco il pezzo, on-line da oggi su www.strill.it nel quale rifletto su quanto accaduto, rispondendo anche a Francesco Biacca (che ringrazio, come tutti voi, per i commenti su questo blog) che mi chiedeva perchè sarebbe più utile affidare ai prefetti la gestione dei beni confiscati.

Quando nelle informative delle forze dell’ordine finiscono politici di svariate correnti, ex militari e magistrati significa che c’è di mezzo qualcosa di gargantuesco. E infatti la vicenda riguardante i beni confiscati alle cosche nel territorio di Reggio Calabria e provincia è di quelle delicate assai e il maxi coinvolgimento di amministratori pubblici (370!), di destra e di sinistra, alcuni indagati per omissione d’atti d’ufficio aggravata dall’articolo 7 (il reato avrebbe favorito associazioni mafiose), altri semplicemente ascoltati come persone informate dei fatti, impone alcune riflessioni.

I “soloni dell’antimafia” predicano spesso, ad ogni passerella nel Meridione solitamente, quanto sia fondamentale colpire le cosche nei loro patrimoni per potere avere qualche chance di vittoria nella dura lotta alle mafie.

Si tratta, in sostanza, di applicare, con efficienza e celerità, la legge n. 109 del 7 marzo del 1996, che disciplina la confisca dei beni mafiosi.

Ma, proprio ricordando le parole dei “soloni dell’antimafia” risulta inaccettabile e scandaloso che, tanto per fare qualche esempio relativo alla città di Reggio, la vedova del boss Peppe Lo Giudice potesse continuare ad abitare fino al 2006, anno del tardivo sfratto definitivo, l’immobile sequestrato alla famiglia; e lo stesso discorso si potrebbe fare per lo stabile di via Mercatello confiscato nel 1997 a Pasquale Condello e ancora abitato, fino al 2006, dai familiari del Supremo.

Inaccettabile sì, ma la realtà è questa: quando la palla passa agli Enti, ai Comuni, che dovrebbero provvedere al riutilizzo dei beni tramite l’assegnazione a famiglie indigenti e/o associazioni impegnate nel sociale, il meccanismo di “bonifica” si blocca pericolosamente.

Al di là delle responsabilità penali che, in futuro, verranno accertate, l’inchiesta condotta dal Ros di Reggio Calabria su delega del pm Franco Mollace, dimostra che qualcosa, dal punto di vista strettamente normativo, va cambiato e anche alla svelta.

Della provvidenziale ma fantomatica “Agenzia nazionale per i beni confiscati” se ne parla da tempo, ma il progetto (ammesso che esista) non ha mai preso il volo.

In atto l’Agenzia del Demanio è responsabile della gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata dal momento della confisca definitiva del bene fino alla sua destinazione, ma appare lampante come essa, in collaborazione, spesso nefasta, con gli Enti, sia inadeguata a svolgere un simile compito. Proprio di recente il Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha annunciato che “il Governo darà parere favorevole all’istituzione dell’Agenzia per i beni confiscati, e ove ve ne fossero, anche ad altri emendamenti che mirano rafforzare la lotta alle mafie”.

Verità o bugia è impossibile attendere oltre: affidare la gestione dei beni confiscati ai Prefetti, rappresentanti del Governo nelle province, può essere una parziale soluzione, una soluzione-tampone magari, che potrebbe costituire almeno un passo in avanti. Le amministrazioni comunali calabresi hanno infatti dimostrato di non essere capaci di svolgere un compito così delicato e così significativo, anche dal punto di vista simbolico, per la lotta alle mafie. E, quando le capacità non c’entrano spesso intervengono le connivenze e le collusioni: dal 1991 (data di emanazione della legge) in Italia sono stati sciolti 172 consigli comunali, dei quali 38 in Calabria: 23 in provincia di Reggio, 7 in provincia di Catanzaro, 5 in provincia di Vibo Valentia, 3 in provincia di Crotone. A distanza di alcuni anni, per 3 comuni – Melito Porto Salvo (RC), Lamezia Terme (CZ) e Roccaforte del Greco (RC) – si è reso necessario ricorrere ad un secondo scioglimento.

Sono i dati a dire che, in attesa della necessaria Agenzia per beni confiscati, conferire poteri ai Prefetti può essere una soluzione: basti pensare che, dall’inchiesta del Ros di Reggio Calabria, gli unici tre comuni della provincia in regola (attraverso solerti riutilizzazioni dei beni) risultano essere quelli di Fiumara, Platì e Maropati, tutti sciolti per mafia e affidati a commissioni prefettizie.

Ad ogni modo non è il caso né di avere paura né di sperare, bisogna cercare nuove armi.

370 birichini

agosto 22, 2008

Nel limite delle mie capacità cerco sempre di tenere le antenne ben tese, non solo quando sono in giro, per lavoro o per svago, ma anche quando guardo, distrattamente, la tv. Ieri notte, dopo una bella serata all’insegna di Fabrizio De Andrè, andando a nanna guardavo con poca voglia la rassegna stampa del TG 5.

“Mafia, lo scandalo delle finte confische”, titola l’Unità. Si parla dell’inchiesta condotta dal Ros di Reggio Calabria.

Decido, la mattina successiva, di acquistare il giornale. Eh già mi è capitato anche questo nella vita: ho acquistato l’Unità!

Scopro che anche CalabriaOra è sul pezzo. “Bel colpo”, penso tra me e me, sorpreso. La sorpresa scompare quando apprendo il nome del pm che conduce l’inchiesta: il magistrato dalle belle cravatte.

Comunque sia la notizia è un’altra.

La notizia è che 370 amministratori tra sindaci, assessori comunali e regionali finiscono nel registro degli indagati.

Eh già, qualcuno dovrebbe spiegare ai vari Scopelliti, Naccari, Dal Torrione, De Gaetano, Adornato, Melandri, ecc. ecc. che non è bello, e non si fa NO NO, che, per esempio, in un immobile sequestrato alla cosca Lo Giudice viva ancora la vedova di don Peppe Lo Giudice…

Capisco di aver trattato un argomento serio, serissimo, in termini molto superficiali. Mi riservo, quindi, il diritto di farlo in maniera più approfondita e seria prossimamente.

Intanto vi lascio questa riflessione che sarà il fulco centrale del mio prossimo post: è scandaloso e impensabile che i beni confiscati alle cosche debbano essere gestiti dalle Amministrazioni Comunali, per quanto esse possano essere virtuose, e non direttamente dai Prefetti.

Pensateci.

Lascala mobile

agosto 21, 2008

Mentre il vicesindaco di Reggio Calabria, dopo la morte di Gianni Rizzica, brilla per la sua assenza, il PRI del compianto Rizzica viene risarcito con uno scranno “pesante” in Giunta.

Visto di cosa si parla, il Bilancio, Scopelliti deve aver avuto dei dolori tipo-parto (come diceva Fantozzi) prima di assegnare tale delega.

Il malcapitato che dovrà rapportarsi con la Maga Circe (la dirigente, onnisciente e onnipotente, Orsola Fallara) è Rocco Lascala, faccia pulita, sguardo non molto arguto, del Partito Repubblicano Italiano, appunto.

In Consiglio Comunale dovrebbe adesso accomodarsi, secondo i miei calcoli, Paolo Antonio Ferrara, primo dei non eletti nel PRI.

Lascala passa quindi da consigliere comunale con la delega ai ricoveri Riuniti all’assessorato al Bilancio: una scala mobile, insomma.

Le interviste (im)possibili

agosto 20, 2008

Potrebbe sembrare così, ma io e il amico Antonino Monteleone non giochiamo a linkarci i blog.

La verità è che con il suo intervento sulla recente intervista che un certo Don Fedele avrebbe rilasciato al giornale tedesco Der Spiegel, parlando della strage di Duisburg, ha anticipato una mia riflessione elaborata proprio la notte scorsa.

Parto dal presupposto che aver messo una faida tra le più sanguinose della storia sul terreno della telenovela, con intrecci, misteri e interviste che appaiono, di tanto in tanto, sulla stampa, pur essendo un fan del giornalismo d’inchiesta, non mi piace nemmeno un po’.

Comunque sia, che Marco Marmo fosse l’obiettivo dei killer di Duisburg lo avevo letto già nei primi lanci di agenzia in quel 15 agosto del 2007, ma che, adesso, a distanza di un anno, un fantomatico “padrino” ci dica che quei sei morti sono stati il prezzo da pagare per evitare un’ulteriore recrudescenza della faida di San Luca e che lo stesso Marmo sia l’assassino di Maria Strangio, uccisa a San Luca nel Natale del 2006, mi sembra davvero troppo.

Sia chiaro, ogni elemento utile per ricostruire dinamiche criminali, non solo relative a San Luca e Duisburg è ben accetto. Ma buttare lì, sul giornale, una confessione anonima, assomiglia moltissimo, secondo me, a una mossa pubblicitaria di caratura internazionale.

Le ipotesi sono due:

1) Der Spiegel inventa di sana pianta l’intervista a Don Fedele. E questo è molto grave, non solo dal punto di vista deontologico.

2) Der Spiegel  intervista davvero Don Fedele. E questo, forse, è ancora più grave, perchè significa dare voce (come ha fatto alcuni giorni fa Panorama con Giovanni Strangio) a un individuo che, certamente, non ha la fedina penale fresca di bucato.

Ho riflettuto soprattutto su quest’ultimo caso. Se l’intervista fosse vera? Se anche le parole di Don Fedele fossero vere?

Tra gli arresti scattati lo scorso anno, a distanza di pochi giorni dalla strage, e quelli avvenuti successivamente (gli ultimi in ordine di tempo sono quelli di Peppe e Paolo Nirta e di Gianfranco Antonioli) solo un uomo, un boss, resta, per ora, uccel di bosco e quindi in grado di rilasciare eventuali interviste come quella di Der Spiegel: Antonio Pelle, 75 anni, detto “Ntoni Gambazza”.

Fabrizio Gatti, per L’Espresso, tempo fa parlava di lui.

Toto-faida

agosto 17, 2008

Il fatto è questo: alcuni giorni fa sul viale Aldo Moro un ordigno sventra la pizzeria Dolci Sapori, devastando inoltre decine di automobili e altre attività commerciali limitrofe. Ma un fatto impone alcune riflessioni. Riflessioni serie.

A) la zona, quella del viale Aldo Moro, del Gebbione in generale, sappiamo essere di “proprietà” della famiglia-cosca Labate. L’ipotesi, la più banale, è quindi che il proprietario della pizzeria Dolci Sapori non abbia pagato il pizzo per poter esercitare la propria attività in quella zona.

B) la pizzeria Dolci Sapori sembra essere di proprietà di un’altra famiglia con un certo peso a Reggio Calabria: i Lo Giudice. Costruire e gestire in casa degli altri non è carino, da qui nascerebbe il boom di qualche sera fa.

C) I Lo Giudice stessi si sarebbero fatti esplodere lo stabile, a mo’ di beffa nei confronti della famiglia Labate, che in quella zona decide il bello e il cattivo tempo, mettendosi quindi in netta contrapposizione.

D) Una terza famiglia (ma anche una quarta o una quinta) avrebbe disposto l’esplosione, mandando un segnale tanto ai Labate, quanto ai Lo Giudice.

E) Si tratta di uno di quelli che potrebbero essere definiti fenomeni “fisiologici” da inviare alla cittadinanza e ai pochi magistrati onesti di Reggio Calabria (Pignatone, Prestipino, Di Palma, Gratteri) per ribadire l’egemonia delle cosche sulla città.

“Signora scelga una busta: la A, la B, la C, la D o la E”.

San Luca oggi piange

agosto 15, 2008

C’è un locale, è una pizzeria, si chiama “Da Bruno”: lo usano per riunirsi, come punto d’appoggio.
C’è sempre un locale d’appoggio: un po’ come accade in “C’era una volta in America”, in “Bronx”, in “Quei bravi ragazzi”, in “Casino”. Ma in questa storia il protagonista non è Robert De Niro.
Ci sono sei ragazzi, sei ragazzi italiani, calabresi, che muoiono a migliaia di chilometri da casa.
E’ il 15 agosto del 2007 quando, sul suolo tedesco, a Duisburg, cadono in sei: Tommaso Venturi, 18 anni quel giorno, Francesco Giorgi, minorenne, Francesco e Marco Pergola, rispettivamente di 22 e 20 anni, Marco Marmo, di 25 anni, e Sebastiano Strangio, di 39 anni.
E’ l’alba, i sei sono appena usciti dalla pizzeria dove hanno festeggiato i diciotto anni di Tommaso Venturi, l’unico delle vittime nato in Germania. Insieme alla maggiore età di Venturi, probabilmente, hanno celebrato anche il suo ingresso ufficiale all’interno della ‘ndrangheta: in una tasca dei pantaloni del giovane, infatti, verrà ritrovato un santino bruciato, testimonianza di un antico rito d’affiliazione, forse ripetutosi, quindi, quella notte.
I sei vengono investiti da una tempesta di piombo. Cadono a terra, agonizzanti; vengono finiti con un colpo di pistola alla testa: tipico clichè da esecuzione mafiosa.
“E’ un regolamento di conti senza precedenti”, dicono a caldo gli inquirenti.
La mattanza di Duisburg si inquadra fin da subito, infatti, all’interno della Faida di San Luca, iniziata nel 1991 per un banale lancio di uova tra giovani del paese, proseguita poi, negli anni, per ragioni ben più grosse. La faida contrappone i Nirta-Strangio ai Vottari-Pelle-Romeo.
E’ una vendetta: alcuni mesi prima, il 25 dicembre, giorno di Natale, a San Luca, un gruppo di fuoco spara per uccidere Giovanni Luca Nirta, considerato uno dei capi dei Nirta-Strangio, ma uccide la moglie, Maria Strangio e ferisce altre tre persone, tra le quali un bambino di 5 anni.
Da quel lontano Carnevale del 1991 vengono scelte, infatti, sempre date significative, spesso coincidenti con le festività. Si vuole lasciare il segno, in modo tale che le ricorrenze, festose per tutti, vengano ricordate, invece, come giornate di lutto e di morte.
Dopo il massacro il cerchio si stringe nel giro di pochi giorni: una telecamera a circuito chiuso “cattura”, nel corso della fuga, le immagini dei due killer che hanno scatenato l’inferno nella notte di Duisburg, la città che circa un anno prima ospitava gli azzurri che sarebbero diventati Campioni del Mondo. Il 30 agosto, quindici giorni dopo la strage, vengono arrestati in quaranta. C’è quello che gli inquirenti ritengono essere il gotha della ‘ndrangheta di San Luca: tra i fermati, appartenenti a entrambe le famiglie rivali -Nirta-Strangio e i Vottari-Pelle-Romeo-, tuttavia, nessuno è direttamente accusato dell’eccidio di Duisburg perché Giovanni Strangio, il ricercato numero uno, colui che avrebbe guidato il commando omicida, del quale prima viene fornito un identikit e, dopo alcuni giorni, diffusa la foto segnaletica, è irreperibile. A suo carico, con colpevole ritardo, verrà spiccato un mandato di cattura internazionale.
San Luca, comunque, balza, nuovamente, sulla prima pagina della cronaca nera: giornalisti da tutto il mondo vengono inviati in Calabria per immortalare, attraverso gli obiettivi di macchine fotografiche e telecamere, il paese, un comune di 4.171 abitanti della provincia di Reggio Calabria, posto sul versante ionico alle falde del massiccio dell’Aspromonte, a 93 chilometri dalla città dello Stretto. Un luogo in cui 134 abitanti si chiamano Pelle, 121 Strangio, 92 Romeo, 85 Nirta e quasi tutti sono imparentati da matrimoni e battesimi.
San Luca, per l’Italia, per tutto il mondo, fa rima con ‘ndrangheta. Se scrivete all’interno di Google, la risposta a ogni problema, le parole chiave “alberghi San Luca Calabria” il primo risultato della ricerca reca questa intestazione: “Faida San Luca, Calabria, ‘ndrangheta”.
Una fama, un’eredità, cominciata diciassette anni fa e che il 15 agosto del 2007 ha raggiunto il proprio, drammatico, apice.
L’operazione di contrasto, da parte delle forze dell’ordine, è continua: l’ultimo arresto “eccellente”, quello di Paolo Nirta, risale poco più di una settimana fa. Non c’è pace a San Luca e, anche quando non si spara, il clima è sempre quello della bonaccia che preannuncia la tempesta.
A San Luca, oggi, è il giorno del dolore: per i familiari delle vittime, per i familiari delle persone arrestate, per i familiari di Giovanni Strangio, latitante: la madre giura, fin dal primo momento, sull’innocenza del figlio.
A distanza di un anno, San Luca oggi piange.

Togato è bello

agosto 14, 2008

Franco, oh Franco!

Chi mi conosce sa quanto io possa odiare Zelig, ma questa volta mi è venuta spontanea.

Il procuratore di Crotone, Franco Tricoli, tra quattro giorni andrà in pensione.

Auguri!

Che regalo si farà l’eccellente magistrato a coronamento della lunga e prestigiosa carriera? Viste le latitudini la risposta è scontata: entrerà in società con un imprenditore mafioso!

La classica zona grigia (anche se qui di grigio c’è davvero poco) questa volta si materializza nei rapporti, piuttosto strani, sospetti e inquietanti tra il magistrato Tricoli e Raffaele Vrenna, mafioso, che per hobby fa l’imprenditore. Vrenna, già presidente di Confindustria Crotone, presidente del Crotone Calcio e vicepresidente di Confindustria Calabria, è condannato, in primo grado per associazione esterna. Ah, dimenticavo, la moglie del Vrenna è anche segretaria dell’illustre magistrato Tricoli…

Chissà cosa ne pensano i “travaglini”, strenui difensori della magistratura, dato che la notizia, che a dire il vero circolava da giorni, è stata posta all’attenzione dei media nazionali da un giornale, la Repubblica, che non sospetto essere “berlusconiano” (e quindi, secondo gli stessi “travaglini”, mafioso) a firma di un certo Attilio Bolzoni.

Ma, si sa, Bolzoni è come D’Avanzo…